
Rupe Magna
Scoperta: 1966, Davide Pace; Lunghezza: 84 m; larghezza: 35 m; più di 5000 raffigurazioni incise, databili tra la fine del Neolitico (IV millennio a.C.) e l’età del Ferro (I millennio a.C.).
Questa è la “carta di identità” della Rupe Magna, una delle più grandi rocce incise dell’arco alpino. I temi raffigurati vanno dalle figure antropomorfe (oranti, armati e lottatori), a quelle di animali, dalle figure geometriche alle coppelle, fino ad oggetti della vita quotidiana (ad esempio, i rastrelli).
Alcune croci, simboli della religiosità cristiana, documentano poi la continuità della pratica di incidere la roccia anche in epoca storica.
LE INCISIONI RUPESTRI DELLA RUPE MAGNA
La pratica di incidere le superfici rocciose è ben attestata in tutto l’arco alpino, dalla Valle d’Aosta al Veneto.
In Lombardia esistono due aree con forte concentrazione di arte rupestre: la Valle Camonica e la Valtellina, che mostrano analogie ma anche caratteristiche locali.
La maggior parte delle incisioni rupestri è stata realizzata con la tecnica detta “a martellina”, ottenuta picchiettando la superfìcie rocciosa con uno strumento di pietra, che crea piccole concavità di forma circolare. Un’altra tecnica adottata è quella “filiforme” o “a graffito”: in questo caso le raffigurazioni sono ottenute incidendo la superficie rocciosa con uno strumento a punta.
In Valtellina il gruppo di incisioni più consistente è quello di Grosio: oltre alle incisioni presenti sulla Rupe Magna, scoperte nel 1966 da Davide Pace, altre rocce incise (circa 50) sono state rinvenute, sempre dal Pace (1970), sul Dosso Giroldo, situato a Nord del Dosso dei Castelli.
La Rupe Magna deve la sua morfologia all’azione del ghiacciaio valtellinese: il lento e continuo scorrimento dei detriti trascinati dalle “lingue” glaciali della Valle dell’Adda e del torrente Roasco ha modellato con ampie montonature la superficie rocciosa.
Numerosi sono i temi figurativi incisi sulla Rupe Magna: figure antropomorfe, tra le quali si riconoscono oranti, armati e lottatori, figure di animali, figure geometriche, coppelle, rastrelli e croci.
Le incisioni, datate sulla base dei confronti con oggetti provenienti da scavi archeologici e su analisi stilistiche, furono realizzate tra la fine del Neolitico (IV millennio a.C.) e l’età del Ferro (I millennio a.C.).
Tra il 1991 e il 1995 le incisioni della Rupe Magna sono state rilevate e studiate integralmente.
È stato così possibile verificare che le incisioni, oltre 5000, sono variamente distribuite sull’intera superficie rocciosa che, con le sue misure (84 m di lunghezza e 35 m di larghezza), è una delle più grandi delle Alpi.
IL DOSSO GIROLDO E LA “ROCCIA DEGLI ARMIGERI“
Per completare il quadro dell’arte rupestre grosina non si può non citare il complesso di rocce scoperto nel 1970 da Davide Pace al Dosso Giroldo, che si erge a Nord del Dosso dei Castelli ed è separato da questo da una profonda sella.
Delle oltre 50 rocce sino ad ora individuate, di particolare interesse è quella chiamata dal Pace “Roccia degli Armigeri”, per la presenza di antropomorfi armati di scudo e lancia, databili all’età del Ferro.
Castelli
Sulla sommità del colle che domina la Rupe Magna sorgono il castello di S.Faustino ed il Castello Nuovo.
Tra i resti murari conservati del Castello di S.Faustino e di alcune delle strutture ad esso pertinenti si segnala il campaniletto romanico.
Restaurato nella parte superiore verso la fine dell’800, è attiguo alla piccola cappella che conserva, al centro del presbiterio, due sepolcri medievali scavati nella roccia: indagini archeologiche in quest’area hanno permesso di ipotizzare l’esistenza di un edificio di culto (oratorio del VII-VIII sec. d.C.?), anteriore alla costruzione del castello.
Fra il 1350 e il 1375 sorse il Castello Nuovo, concepito per rispondere a mutate esigenze strategiche: è caratterizzato da una doppia cortina di mura, giustificata da necessità difensive, e da un poderoso donjon, cioè una torre interna fortificata, alla quale veniva affidata l’estrema difesa del castello.
IL CASTELLO DI SAN FAUSTINO (“Castello Vecchio“)
L’edificio più antico fu realizzato attorno al X-XI sec. sull’estremità meridionale del dosso ed è comunemente citato, anche nei documenti, come “Castrum Grosif o, anche, “Castello di S. Faustino”, dal nome del martire romano al quale venne dedicata, insieme a S. Giovila, la cappella castellana.
I resti murari conservati permettono il riconoscimento del perimetro del castello e di alcune strutture ad esso pertinenti.
Tra queste svetta il campaniletto romanico, restaurato nella parte superiore verso la fine dell’800, attiguo alla piccola cappella che conserva, al centro del presbiterio, due sepolcri medievali scavati nella roccia: scavi recenti in questa area hanno permesso di ipotizzare l’esistenza di un edificio di culto (oratorio del VII-VIII sec. d.C.?) anteriore alla costruzione del castello.
IL CASTELLO NUOVO
il “Castrum Novum”
Questa nuova costruzione fu concepita per rispondere a mutate esigenze strategiche: è caratterizzata da una doppia cortina di mura, giustificata da necessità difensive, testimoniate anche dalla presenza di un poderoso donjon, cioè una torre interna fortificata alla quale veniva affidata l’estrema difesa del castello.
Ad esclusione di una incursione da parte dell’esercito visconteo al comando di Giovanni Cane, che calò su Bormio sottomettendola a Milano (1376), il castello non venne coinvolto in fatti d’arme fino al 1526, quando il Governo grigionese delle Tré Leghe, nuovo signore della Valtellina, ne ordinò lo smantellamento insieme a tutte le fortificazioni esistenti in Valle.
La fortificazione fu nuovamente riattata nel corso della Guerra di Valtellina (1620-1639) e, in particolare, durante la campagna condotta dal Duca di Rohan nel 1635.
Benché ormai allo stato di rudere, il Castello Nuovo costituisce l’esempio meglio conservato e più interessante tra i castelli della provincia di Sondrio.
Lo scavo archeologico condotto tra 1992 e 1997 su tutta la zona sud-occidentale all’interno del Castello Nuovo (Area 6) ha portato alla luce i resti di un insediamento sviluppatesi nell’età del Bronzo e nell’età del Ferro (metà li-fine I millennio a.C.).
I reperti associati alle varie fasi protostoriche delineate, esposti nell’Antiquarium del Parco, mostrano la presenza, in questo comprensorio dell’estrema Lombardia nord-occidentale, di aspetti culturali del tutto peculiari, caratterizzati da alterni rapporti ora con l’area transalpina dell’alta valle del Reno (Grigioni), ora con l’area sudalpina delle Alpi centro-orientali (Trentino-Alto Adige).

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